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Di seguito gli articoli e le fotografie pubblicati nella giornata richiesta.
 
 
Articoli del 10/10/2025

La minuscola action cam DJI Osmo Nano tenuta tra due dita per mostrare le sue dimensioni ridotte.
La minuscola action cam DJI Osmo Nano tenuta tra due dita per mostrare le sue dimensioni ridotte.

DJI, leader indiscusso nel mercato dei droni, lancia la sua sfida nel segmento delle action cam ultra-compatte con la nuova Osmo Nano. Progettata per essere indossata, montata ovunque e quasi dimenticata, questa minuscola videocamera coniuga dimensioni ridottissime con una qualità d'immagine di livello professionale. Si tratta di un attacco diretto ai concorrenti come la serie Go di Insta360, con l'obiettivo di diventare lo strumento preferito dai creator che cercano la massima versatilità. LEGGI TUTTO



Design e portabilità estrema
Il punto di forza della Osmo Nano è, senza dubbio, la sua dimensione. È incredibilmente piccola e leggera, il che la rende ideale per essere montata su cappelli, collane magnetiche, caschi o persino sul collare di un animale domestico senza quasi accorgersene. Il design è minimalista e robusto, pensato per resistere agli urti e alle intemperie. L'interazione avviene principalmente tramite un singolo pulsante e l'app per smartphone, che funge da viewfinder e centro di controllo per tutte le impostazioni.

Qualità video e stabilizzazione
Nonostante le dimensioni, la Osmo Nano non fa compromessi sulla qualità video. È in grado di registrare filmati ad alta risoluzione con colori vividi e un'ampia gamma dinamica. Il vero punto di forza, tipico di DJI, è la stabilizzazione dell'immagine. Grazie all'ultima versione dell'algoritmo RockSteady, i video risultano incredibilmente fluidi e privi di tremolii, anche durante attività molto movimentate come la corsa o il ciclismo in mountain bike. Questo la rende una scelta eccellente per catturare riprese in prima persona (POV) immersive e di alta qualità.

Funzionalità intelligenti e software
La Osmo Nano si integra perfettamente con l'ecosistema software di DJI. L'app Mimo non solo permette di controllare la camera, ma offre anche una suite di editing avanzata e intuitiva. Funzionalità basate sull'intelligenza artificiale, come ActiveTrack, consentono di mantenere il soggetto sempre a fuoco e al centro dell'inquadratura. Inoltre, l'app include modelli di montaggio preimpostati che permettono di creare video dinamici e pronti per la condivisione sui social media in pochi semplici passaggi. L'enfasi è posta su un flusso di lavoro rapido ed efficace, dal momento della ripresa alla pubblicazione.

Autonomia e sistema di ricarica
La sfida più grande per una camera così piccola è l'autonomia. La Osmo Nano ha una batteria interna che garantisce una certa durata di registrazione continua, ma per un utilizzo prolungato si affida a un sistema di custodie di ricarica, simili a quelle degli auricolari true wireless. Questo permette di ricaricare la camera più volte durante la giornata, estendendo notevolmente la sua operatività sul campo. La modularità è la chiave per bilanciare dimensioni ridotte e necessità di energia.

Con la Osmo Nano, DJI non ha semplicemente creato una action cam più piccola, ma ha ripensato il concetto di cattura della realtà. È un dispositivo che punta a essere sempre con l'utente, pronto a registrare momenti spontanei da prospettive uniche e impossibili da ottenere con una videocamera tradizionale o uno smartphone. Combinando qualità d'immagine, stabilizzazione di livello superiore e un software intelligente, la Osmo Nano si candida a diventare un nuovo punto di riferimento per vlogger, atleti e chiunque voglia raccontare le proprie storie in modo creativo e senza ingombri.

 
Un rapporto del Pentagono suggerisce un legame tra avvistamenti UFO e segreti militari.
Un rapporto del Pentagono suggerisce un legame tra avvistamenti UFO e segreti militari.

Per decenni, la domanda sugli UFO è stata: "Siamo soli?". Ora, un sorprendente rapporto dell'ufficio investigativo del Pentagono suggerisce che la domanda giusta potrebbe essere un'altra: "Di chi ci possiamo fidare?". Secondo l'AARO, la verità dietro molti famosi avvistamenti potrebbe non essere "là fuori", ma nascosta in archivi militari classificati, frutto di deliberate campagne di disinformazione. ARTICOLO COMPLETO



Un nuovo e sorprendente rapporto dell'All-domain Anomaly Resolution Office (AARO), l'unità investigativa del Pentagono dedicata ai Fenomeni Anomali Non Identificati (UAP), offre una spiegazione decisamente terrestre a molti misteri celesti. La conclusione è che numerosi avvistamenti UFO negli Stati Uniti possono essere attribuiti a campagne di disinformazione militare e operazioni segrete, piuttosto che a incontri extraterrestri.

La Guerra Fredda e la creazione di miti
Una delle scoperte più significative del rapporto è che diverse teorie del complotto sugli UFO sono state create e diffuse di proposito dall'esercito statunitense durante la Guerra Fredda. Queste narrazioni fantasiose servivano come perfette "storie di copertura" per mascherare lo sviluppo e i test di armi e velivoli segreti, come gli aerei spia U-2 e SR-71. In un'epoca di forte contrapposizione con l'Unione Sovietica, era preferibile che un avvistamento anomalo venisse interpretato come un "disco volante" piuttosto che come un prototipo di aereo spia americano.

Area 51: decostruzione di una leggenda
Il caso più emblematico è quello dell'Area 51. Secondo il rapporto AARO, la sua fama come luogo di detenzione di tecnologia aliena è stata in gran parte il risultato di fughe di notizie intenzionali e prove inscenate, orchestrate per distogliere l'attenzione dai veri programmi classificati che si svolgevano nella base. Il mito dell'UFO crashato a Roswell e dei suoi occupanti è servito da scudo perfetto per nascondere i progressi dell'aeronautica militare statunitense.

Spiegazioni terrestri per fenomeni moderni
Anche per gli avvistamenti più recenti, l'AARO fornisce spiegazioni prosaiche. La maggior parte dei casi analizzati e risolti sono stati ricondotti a:

  • Palloni sonda ad alta quota

  • Uccelli e sciami di droni commerciali

  • Riflessi di luce e altri fenomeni atmosferici

  • Satelliti, in particolare le costellazioni Starlink, che con le loro lunghe file di luci hanno generato innumerevoli segnalazioni.
Paradossalmente, la stessa tecnologia che dovrebbe aiutarci a capire meglio cosa accade nei nostri cieli sta generando nuovi "falsi positivi".

Cultura pop e casi ancora aperti
Il rapporto riconosce anche il ruolo enorme della cultura popolare (film, serie TV, internet) nel plasmare il modo in cui il pubblico interpreta fenomeni sconosciuti. Tuttavia, l'AARO non chiude completamente la porta. Ammette che alcuni casi, in particolare quelli riportati da personale militare addestrato come il pilota della Marina Ryan Graves (che descrisse un "cubo scuro all'interno di una sfera trasparente"), rimangono "ancora in fase di revisione". Questa posizione permette di ridurre il "rumore di fondo" delle teorie cospirazioniste, incoraggiando al contempo i piloti a continuare a segnalare anomalie reali senza timore di essere ridicolizzati.

La conclusione del rapporto AARO sposta il focus del mistero UFO. La verità potrebbe essere meno legata all'astrofisica e molto più alla storia dello spionaggio, della guerra psicologica e dello sviluppo tecnologico segreto. Se per decenni il governo americano ha usato la febbre degli UFO per nascondere i propri segreti, la fiducia del pubblico è la vittima più illustre di questa lunga partita a scacchi.

 
 
Una selezione di localizzatori Bluetooth compatibili con la rete Find My Device di Google, accanto a uno smartphone Android.
Una selezione di localizzatori Bluetooth compatibili con la rete Find My Device di Google, accanto a uno smartphone Android.

Per anni, gli utenti Apple hanno goduto dell'enorme vantaggio della rete "Dov'è" (Find My) per ritrovare i loro dispositivi e oggetti personali grazie agli AirTag. Ora, con il lancio della nuova rete "Find My Device" di Google, anche l'immenso ecosistema Android può finalmente contare su una tecnologia di localizzazione collaborativa simile. Diversi produttori hanno già lanciato i loro "AirTag per Android", piccoli localizzatori Bluetooth che sfruttano questa potente rete. Vediamo i migliori. LEGGI TUTTO



Come funziona la rete "Find My Device" di Google
La forza di questa tecnologia risiede nella sua vastità. La rete "Find My Device" è composta da centinaia di milioni di dispositivi Android in tutto il mondo. Quando un localizzatore compatibile (attaccato alle chiavi, allo zaino, ecc.) viene smarrito, emette un segnale Bluetooth a bassa energia. Qualsiasi dispositivo Android nelle vicinanze che fa parte della rete può rilevare questo segnale in modo anonimo e sicuro, e inviare la posizione del localizzatore a Google. Il proprietario potrà quindi visualizzare l'ultima posizione nota del suo oggetto sulla mappa, il tutto in modo crittografato e nel pieno rispetto della privacy.

Chipolo One Point e Card Point: la scelta versatile
Chipolo è stato uno dei primi partner di Google a lanciare prodotti specifici per la nuova rete. Il Chipolo One Point ha la classica forma a disco, ideale per essere agganciato a un portachiavi, ed è dotato di un anello integrato e di un cicalino molto potente per ritrovare l'oggetto quando è nelle vicinanze. Il Chipolo Card Point, invece, ha la forma di una carta di credito, perfetto per essere inserito nel portafoglio senza creare spessore. Entrambi sono progettati esclusivamente per la rete di Google e si configurano con un semplice tocco tramite la funzione Fast Pair di Android.

Pebblebee Clip e Card: ricaricabile e luminoso
Anche Pebblebee offre una gamma completa di localizzatori compatibili. Il Pebblebee Clip è simile al Chipolo One Point, ma si distingue per due caratteristiche importanti: è ricaricabile tramite USB-C, eliminando la necessità di sostituire la batteria, e integra un LED luminoso che aiuta a ritrovare l'oggetto al buio. Il Pebblebee Card, per il portafoglio, condivide la stessa caratteristica della ricaricabilità. Questa scelta li rende una soluzione più sostenibile e pratica a lungo termine.

Eufy SmartTrack Link e Card: integrazione con l'ecosistema Anker
Eufy, un marchio di Anker, ha aggiornato i suoi popolari localizzatori SmartTrack per renderli compatibili con la rete di Google. Lo SmartTrack Link ha un design compatto e un utile codice QR sul retro che, se scansionato da chi ritrova l'oggetto, può mostrare le informazioni di contatto del proprietario. Lo SmartTrack Card è una delle opzioni più sottili per il portafoglio. Un vantaggio di Eufy è la possibilità di funzionare sia con la rete di Google sia con la propria app Eufy Security, offrendo una maggiore flessibilità.

La sicurezza prima di tutto: allerte anti-stalking
Una delle preoccupazioni principali legate a questi dispositivi è il potenziale uso improprio per tracciare le persone a loro insaputa. Per questo, Google e Apple hanno collaborato per creare uno standard di settore. Sia Android che iOS sono ora in grado di rilevare un localizzatore sconosciuto che si muove con l'utente e di inviare un'allerta di "rilevamento di tracciamento indesiderato", permettendo di localizzare il tracker e disattivarlo.

L'arrivo della rete "Find My Device" e dei localizzatori compatibili colma finalmente un divario importante tra l'ecosistema Android e quello Apple. Con una rete potenziale di oltre un miliardo di dispositivi, la capacità di ritrovare gli oggetti smarriti diventa una realtà concreta anche per gli utenti Android, offrendo una tranquillità e una sicurezza che prima erano un'esclusiva del mondo della mela.

 
Il logo di Windows e il pinguino di Linux (Tux) mostrati insieme su uno schermo di computer, a simboleggiare l'integrazione.
Il logo di Windows e il pinguino di Linux (Tux) mostrati insieme su uno schermo di computer, a simboleggiare l'integrazione.

Per anni, gli sviluppatori che lavoravano su Windows ma necessitavano degli strumenti e dell'ambiente di Linux si sono trovati di fronte a un bivio: utilizzare macchine virtuali pesanti e lente o ricorrere a un dual boot complesso. Con l'introduzione del Sottosistema Windows per Linux (WSL), e in particolare con la sua seconda versione, WSL 2, Microsoft ha rivoluzionato questo paradigma. Ora è possibile eseguire un vero e proprio kernel Linux direttamente all'interno di Windows 10 e 11. LEGGI TUTTO



Cos'è WSL 2 e come funziona?
A differenza della sua prima versione, che si basava su un livello di traduzione delle chiamate di sistema, WSL 2 utilizza una tecnologia di virtualizzazione leggera per eseguire un kernel Linux completo all'interno di una macchina virtuale ottimizzata. Questo approccio offre due vantaggi enormi: primo, una compatibilità con il software Linux quasi del 100%, poiché le applicazioni interagiscono con un vero kernel. Secondo, un drastico aumento delle prestazioni, specialmente per quanto riguarda le operazioni di I/O sul file system, un punto debole della prima versione.

Installazione semplificata
Installare WSL 2 è diventato incredibilmente semplice. Sulle versioni recenti di Windows 10 e 11, è sufficiente aprire un terminale (PowerShell o Prompt dei comandi) con privilegi di amministratore e digitare un singolo comando: `wsl --install`. Questo comando si occuperà di abilitare tutte le funzionalità necessarie di Windows, scaricare l'ultimo kernel Linux e installare la distribuzione predefinita, che di solito è Ubuntu. Una volta completato, riavviando il computer si avrà a disposizione un ambiente Linux pienamente funzionante.

Scegliere e gestire le distribuzioni
Uno dei punti di forza di WSL è la possibilità di installare e utilizzare più distribuzioni Linux contemporaneamente. Direttamente dal Microsoft Store è possibile scaricare e installare le versioni più popolari come Ubuntu, Debian, Kali Linux, openSUSE e altre. Tramite il comando `wsl -l -v` nel terminale, è possibile visualizzare le distribuzioni installate e la versione di WSL che stanno utilizzando. È anche possibile impostare una distribuzione predefinita e passare facilmente da una all'altra.

Integrazione con l'ecosistema Windows
La vera magia di WSL 2 risiede nella sua profonda integrazione con Windows. È possibile accedere ai file del sistema Windows direttamente dal terminale Linux (si trovano montati in `/mnt/c`, `/mnt/d`, etc.) e, viceversa, accedere al file system di Linux da Esplora File di Windows, semplicemente digitando `\\wsl$` nella barra degli indirizzi. Inoltre, WSL 2 supporta l'esecuzione di applicazioni grafiche Linux (GUI apps) out-of-the-box, che appaiono come normali finestre di Windows. Questa integrazione si estende anche a strumenti di sviluppo come Visual Studio Code, che, tramite l'estensione "Remote - WSL", permette di scrivere codice su Windows ma di compilarlo, eseguirlo e debuggarlo direttamente nell'ambiente Linux.

WSL 2 ha trasformato Windows in una delle piattaforme di sviluppo più potenti e versatili disponibili oggi. Ha abbattuto le barriere tra i due sistemi operativi, offrendo agli sviluppatori il meglio di entrambi i mondi: la familiarità e l'ecosistema software di Windows uniti alla potenza e alla flessibilità della riga di comando e degli strumenti di Linux. Non è più una questione di scegliere tra Windows o Linux, ma di come usarli al meglio insieme.

 
Di Alex (pubblicato @ 07:00:00 in Misteri, letto 224 volte)
Un'illustrazione delle oscure e misteriose profondità oceaniche, con un idrofono che capta onde sonore sconosciute.
Un'illustrazione delle oscure e misteriose profondità oceaniche, con un idrofono che capta onde sonore sconosciute.

Nel 1997, nelle profondità remote dell'Oceano Pacifico, una rete di idrofoni militari progettata per rilevare sottomarini sovietici registrò un suono anomalo. Era un rumore a bassissima frequenza, estremamente potente e di origine sconosciuta, che fu battezzato "The Bloop". Per anni, questo segnale ha alimentato speculazioni e teorie, dal crollo di iceberg giganti a mostri marini lovecraftiani. La storia del Bloop è un affascinante esempio di come la scienza affronti i misteri degli abissi. LEGGI TUTTO



La scoperta di un suono anomalo
Il suono fu captato dalla rete SOSUS (Sound Surveillance System) della National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) statunitense. La sua caratteristica più sorprendente era la potenza: il Bloop fu rilevato da sensori distanti tra loro oltre 5.000 chilometri. Il suo profilo acustico era unico, con una rapida variazione di frequenza che lo rendeva simile a un suono di origine biologica, ma la sua ampiezza superava di gran lunga quella di qualsiasi animale conosciuto, inclusa la balenottera azzurra, l'essere vivente più rumoroso del pianeta.

Le prime ipotesi: tra scienza e fantasia
L'impossibilità di attribuire il suono a una fonte nota aprì le porte a una vasta gamma di ipotesi. La NOAA inizialmente suggerì che potesse trattarsi di un grande animale marino non ancora scoperto, una dichiarazione che accese l'immaginazione del pubblico. Gli appassionati di misteri e criptozoologia notarono una strana coincidenza: il punto di origine del Bloop, al largo delle coste del Sud America, era relativamente vicino alla posizione della città sommersa immaginaria di R'lyeh, descritta dallo scrittore H.P. Lovecraft nelle sue storie del mito di Cthulhu. Questa suggestione, sebbene priva di fondamento scientifico, contribuì a rendere il Bloop un fenomeno di culto.

La spiegazione scientifica: il criosisma
Con il passare degli anni e il miglioramento delle tecnologie di analisi acustica, gli scienziati della NOAA hanno continuato a studiare il Bloop e altri suoni sottomarini non identificati. Confrontando il profilo acustico del segnale del 1997 con i suoni generati da fenomeni naturali noti, hanno raggiunto una conclusione molto più terrena, ma non meno affascinante. Il Bloop era quasi certamente il suono di un "criosisma" o terremoto di ghiaccio. Si tratta del rumore generato da un grande iceberg che si frattura e si stacca da un ghiacciaio in Antartide. Il suono di questi eventi, che rilasciano un'enorme quantità di energia, può viaggiare per migliaia di chilometri attraverso l'oceano, e il loro spettrogramma acustico corrisponde a quello del Bloop.

L'oceano: l'ultima frontiera inesplorata
Sebbene il mistero del Bloop sia stato risolto, la sua storia ci ricorda quanto poco conosciamo ancora degli oceani. Meno del 20% dei fondali marini è stato mappato in alta risoluzione e si stima che oltre l'80% delle specie che abitano gli abissi debba ancora essere scoperto. Le profondità oceaniche rimangono uno degli ambienti più estremi e inesplorati del nostro pianeta, un luogo dove la pressione è schiacciante, la luce non arriva e le forme di vita assumono aspetti che sembrano usciti da un romanzo di fantascienza. Chissà quali altri suoni e quali altri misteri si nascondono ancora là sotto, in attesa di essere ascoltati.

La vicenda del Bloop è un perfetto esempio del metodo scientifico in azione. Un fenomeno misterioso viene osservato, le ipotesi vengono formulate e testate, e alla fine si giunge a una spiegazione basata sulle prove. Anche se la soluzione non coinvolge mostri marini colossali, la realtà di un iceberg che si frantuma con una potenza tale da essere udita dall'altra parte dell'oceano è, a suo modo, altrettanto maestosa e impressionante.

 

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