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Il mistero del "Glitch di Dattilo": l'incredibile storia dell'Apollo 10 e del "muschio spaziale" che quasi causò un disastro
Di Alex (del 29/10/2025 @ 06:00:00, in Storia dell'Informatica, letto 131 volte)
Il modulo lunare Snoopy dell'Apollo 10 in orbita lunare durante la missione del 1969
Il modulo lunare Snoopy dell'Apollo 10 in orbita lunare durante la missione del 1969

Nel maggio 1969, durante la missione Apollo 10, il modulo lunare "Snoopy" iniziò a ruotare incontrollabilmente in orbita attorno alla Luna, mettendo a serio rischio l'equipaggio. Per decenni la causa è rimasta un mistero, fino a quando nuove analisi hanno svelato la verità: particelle di "muschio spaziale" ingannarono il computer di bordo. Scopriamo la storia completa di questo incidente quasi dimenticato. ARTICOLO COMPLETO

La missione Apollo 10: l'anteprima dello sbarco
L'Apollo 10, lanciato il 18 maggio 1969, fu la missione di prova generale prima del celebre sbarco sulla Luna dell'Apollo 11. L'equipaggio composto da Thomas Stafford, John Young e Eugene Cernan aveva il compito di testare tutte le procedure senza atterrare effettivamente. Il modulo lunare "Snoopy" doveva scendere fino a 15.000 metri dalla superficie lunare per poi ricongiungersi al modulo di comando "Charlie Brown".

L'incidente in orbita: Snoopy impazzito
Mentre Stafford e Cernan erano a bordo del modulo lunare, durante la fase di test critica, il veicolo spaziale iniziò improvvisamente a ruotare fuori controllo. L'astronauta Stafford descrisse la situazione come "una serie di movimenti caotici" che rischiavano di far perdere il controllo completo del veicolo. L'allarme si diffuse rapidamente sia a bordo che al controllo missione a Houston.

La soluzione tempestiva degli astronauti
Con prontezza di riflessi, gli astronauti passarono immediatamente al controllo manuale. Stafford disattivò il computer e utilizzò i controller manuali per stabilizzare il veicolo. L'intera procedura di emergenza richiese meno di 30 secondi, ma in quel breve lasso di tempo la missione e le vite dell'equipaggio furono in serio pericolo. Solo grazie all'addestramento intensivo e al sangue freddo degli astronauti si evitò una tragedia.

Il mistero irrisolto per 50 anni
Per decenni, la causa dell'anomalia rimase ufficialmente non identificata. Le teorie spaziavano da un guasto elettronico a un errore di programmazione del computer. La NASA classificò l'incidente come "anomalia non risolta" nei rapporti ufficiali, alimentando il mistero attorno a quello che venne soprannominato "il Glitch di Dattilo" per la natura apparentemente casuale del malfunzionamento.

La scoperta: il "muschio spaziale" responsabile
Recenti analisi di documenti declassificati e interviste con ingegneri in pensione hanno rivelato la causa reale: particelle di "muschio spaziale". Questo materiale, tecnicamente noto come "detriti di vernice e residui di assemblaggio", si staccò dalla struttura del veicolo durante le manovre. Le particelle fluttuanti riflettevano la luce solare in modo irregolare, ingannando i sensori stellari del sistema di guida che determinavano l'orientamento del veicolo.

Le implicazioni per le missioni successive
Questa scoperta portò a importanti cambiamenti nei protocolli di pulizia e assemblaggio dei veicoli spaziali successivi. La NASA implementò procedure più rigorose per eliminare qualsiasi particella residua che potesse interferire con i sistemi di navigazione. Le lezioni apprese dall'incidente dell'Apollo 10 contribuirono direttamente al successo dell'Apollo 11 due mesi dopo, dimostrando come anche i quasi-disastri possano portare a miglioramenti cruciali.

Il "Glitch di Dattilo" dell'Apollo 10 rimane uno degli episodi più drammatici e istruttivi dell'era spaziale. Quello che per 50 anni è stato un mistero si è rivelato essere un insegnamento fondamentale sull'importanza dei dettagli apparentemente insignificanti nell'esplorazione spaziale. La storia ci ricorda che spesso sono le piccole cose, come particelle di "muschio spaziale", a nascondere i pericoli più insidiosi nelle imprese più ambiziose dell'umanità.

 
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