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Di seguito gli articoli e le fotografie pubblicati nella giornata richiesta.
Articoli del 03/08/2025
Di Alex (pubblicato @ 18:00:00 in Universo Apple, letto 16 volte)

Un'illustrazione astratta del Private Cloud Compute di Apple, che mostra un cervello digitale protetto da uno scudo con il logo Apple, simboleggiando la privacy e la sicurezza dell'intelligenza artificiale.
Durante la sua ultima conferenza per sviluppatori (WWDC), Apple ha introdotto una delle sue più grandi innovazioni nel campo dell'intelligenza artificiale: il Private Cloud Compute (PCC). Questo sistema mira a risolvere il dilemma fondamentale dell'IA generativa, ovvero come offrire potenti capacità basate sul cloud senza compromettere la privacy e la sicurezza dei dati degli utenti, un pilastro fondamentale per l'azienda di Cupertino.
Cos'è e come funziona il private cloud compute
Il Private Cloud Compute è un sistema di intelligenza cloud specificamente progettato per estendere le capacità di calcolo dei dispositivi Apple in modo sicuro. Quando un utente effettua una richiesta AI complessa che non può essere elaborata interamente sul dispositivo (on-device), il sistema può inviare i dati necessari a server speciali per l'elaborazione. Apple Intelligence, il nuovo sistema di IA integrato in iOS, iPadOS e macOS, decide autonomamente quando utilizzare il PCC. L'obiettivo è semplice: i dati personali dell'utente non vengono mai memorizzati sui server e sono utilizzati esclusivamente per soddisfare la singola richiesta, garantendo un livello di privacy senza precedenti per un servizio cloud di questa portata. A differenza delle tradizionali soluzioni cloud, Apple ha costruito un'architettura in cui non è necessario fidarsi ciecamente dell'azienda, ma è possibile verificare la sicurezza del sistema.
Architettura e garanzie di sicurezza
La fiducia nel Private Cloud Compute si basa su tre pilastri fondamentali: server costruiti con hardware personalizzato (Apple Silicon), un sistema operativo specializzato e trasparenza totale. Apple ha garantito che i suoi server PCC non archivieranno mai i dati degli utenti e non creeranno profili basati sulle loro richieste. Per dimostrarlo, l'azienda si è impegnata a rendere pubblicamente ispezionabile il codice dei suoi server, consentendo a esperti di sicurezza indipendenti di verificare che le promesse sulla privacy siano mantenute a livello tecnico. Inoltre, il sistema utilizza un meccanismo di crittografia avanzato che assicura che il dispositivo dell'utente comunichi solo con un nodo PCC certificato e sicuro.
Ecco le specifiche tecniche e le promesse chiave del sistema:
- Hardware su misura: I server utilizzano chip Apple Silicon, gli stessi che alimentano Mac e iPad, per garantire coerenza e sicurezza nell'ecosistema.
- Dati non persistenti: Nessun dato dell'utente viene conservato dopo l'elaborazione di una richiesta. Le informazioni svaniscono non appena il compito è completato.
- Richieste non collegate all'identità: Le richieste inviate al cloud sono rese anonime e non sono associate all'account Apple dell'utente.
- Codice ispezionabile: Esperti di sicurezza esterni possono analizzare il software dei server per verificare l'assenza di "backdoor" o vulnerabilità.
- Crittografia avanzata: La comunicazione tra dispositivo e server è protetta per impedire intercettazioni o manipolazioni.
In conclusione, con il Private Cloud Compute, Apple non si limita a inseguire la concorrenza nel campo dell'IA, ma cerca di stabilire un nuovo standard industriale in cui la potenza computazionale del cloud e la privacy dell'utente non sono più in conflitto. Questa mossa potrebbe non solo rassicurare la sua base di utenti, ma anche spingere l'intero settore tecnologico a ripensare l'approccio alla gestione dei dati nell'era dell'intelligenza artificiale generativa.
Di Alex (pubblicato @ 16:00:00 in Universo Google, letto 60 volte)

Una persona che inquadra una strada cittadina con lo smartphone, visualizzando in realtà aumentata le indicazioni e le informazioni sui locali.
Dimenticate le mappe 2D e le semplici frecce di navigazione. Google ha iniziato il roll-out della più grande evoluzione di Maps dai tempi di Street View: la nuova "Live View AR" immersiva. Non si tratta più solo di vedere dove svoltare, ma di fondere il mondo digitale con quello fisico in un unico strato informativo. Grazie a questa tecnologia, basterà inquadrare una strada con la fotocamera del proprio smartphone per vederla popolata da indicazioni, recensioni e informazioni contestuali che fluttuano nell'aria, trasformando il modo in cui esploriamo le nostre città.
Oltre la navigazione: la ricerca in realtà aumentata
La funzione più sorprendente della nuova Live View è la ricerca in AR. Invece di digitare "ristoranti vicino a me" e consultare una lista, ora è possibile puntare il telefono verso una via e vedere apparire dei "pin" virtuali sopra le insegne di ristoranti, bar, bancomat o negozi. Toccando uno di questi pin si aprirà una scheda informativa con orari, valutazione degli utenti e foto, senza mai abbandonare la visuale della fotocamera. Questa modalità rende la scoperta di nuovi luoghi incredibilmente intuitiva e immediata. La stessa tecnologia si sta espandendo anche agli ambienti interni più complessi, come aeroporti e stazioni ferroviarie, guidando l'utente fino al gate o al binario corretto con una precisione centimetrica.
La tecnologia dietro la magia: VPS e intelligenza artificiale
Tutto questo è reso possibile da una tecnologia chiamata VPS (Visual Positioning System). A differenza del GPS, che può avere un margine di errore di diversi metri, il VPS utilizza l'intelligenza artificiale per confrontare in tempo reale ciò che la fotocamera del telefono sta inquadrando con il gigantesco database di immagini di Street View di Google. Analizzando dettagli come la forma degli edifici, le insegne e altri punti di riferimento unici, il sistema è in grado di determinare la posizione e l'orientamento esatto del dispositivo con una precisione straordinaria. Questo permette di "ancorare" le informazioni in realtà aumentata nel punto giusto dello spazio fisico, facendole apparire stabili e integrate con l'ambiente.
- Funzionalità: Live View AR (Augmented Reality) Immersiva
- Tecnologia Chiave: Visual Positioning System (VPS)
- Principio di Funzionamento: Confronto AI tra feed della fotocamera e database di Street View
- Capacità Principali: Navigazione AR, Ricerca AR contestuale, Navigazione Indoor
- Dati Visualizzati in AR: Indicazioni, nomi di strade, pin di luoghi d'interesse (con recensioni, orari), dati sui trasporti pubblici in tempo reale
- Disponibilità Iniziale: Città principali come Londra, Parigi, New York, Tokyo
- Requisiti: Smartphone con supporto ARCore (Android) o ARKit (iOS)
Un mondo di informazioni contestuali
Le applicazioni della nuova Live View vanno oltre la semplice navigazione. Puntando la fotocamera verso un monumento storico, l'utente potrà visualizzare schede informative sulla sua storia. Inquadrando la fermata di un autobus, vedrà apparire in AR gli orari di arrivo in tempo reale e il percorso della linea. Questa capacità di fornire informazioni contestuali "just-in-time" trasforma Google Maps da strumento di pianificazione a vera e propria guida turistica interattiva e assistente personale per la vita di tutti i giorni. L'obiettivo di Google è chiaro: ridurre al minimo il tempo che passiamo a guardare la mappa e massimizzare quello che passiamo a osservare e interagire con il mondo che ci circonda.
Siamo di fronte a un passo fondamentale verso il futuro del "spatial computing", un futuro in cui le informazioni digitali non saranno più confinate su uno schermo, ma saranno parte integrante della nostra percezione della realtà. La nuova Live View AR di Google Maps è una delle prime, potenti applicazioni di massa di questa visione. Sebbene al momento sia limitata ad alcune grandi città, la tecnologia alla base è destinata a espandersi rapidamente, cambiando per sempre non solo il modo in cui ci spostiamo, ma anche il modo in cui scopriamo, impariamo e interagiamo con gli spazi urbani. La mappa non è più solo uno strumento, è diventata una lente magica attraverso cui guardare il mondo.
Di Alex (pubblicato @ 14:00:00 in Tecnologia indossabile, letto 60 volte)

Il sistema di cuffie elettrostatiche Sennheiser Orpheus HE 2, con l'amplificatore in marmo di Carrara e le valvole termoioniche illuminate.
Nel mondo dell'alta fedeltà, il nome "Orpheus" è sinonimo di perfezione assoluta, un vertice tecnologico e sonoro considerato irraggiungibile. A quasi dieci anni dal lancio delle leggendarie HE 1, Sennheiser ha svelato al mondo il suo successore: il sistema Orpheus HE 2. Non un semplice aggiornamento, ma una riprogettazione totale che spinge ancora più in là i confini della riproduzione audio. Con un nuovo diaframma in grafene, un'elettronica ancora più raffinata e un prezzo che si preannuncia stellare, le cuffie migliori del mondo sono riuscite nell'impossibile: superare sé stesse.
La magia elettrostatica e il nuovo diaframma in grafene
Il cuore del sistema Orpheus rimane la tecnologia elettrostatica. A differenza delle cuffie tradizionali, qui il suono è generato da un diaframma sottilissimo, più leggero dell'aria, sospeso tra due statori metallici. Nella HE 2, questo diaframma non è più rivestito in platino, ma in grafene, il materiale rivoluzionario vincitore del premio Nobel. Questa scelta permette di ottenere una rigidità e una leggerezza ancora maggiori, con una risposta ai transienti fulminea e una quasi totale assenza di distorsione. Il risultato è un livello di dettaglio e realismo che, a detta dei pochi che le hanno ascoltate, fa letteralmente scomparire le cuffie, lasciando solo la musica nella sua forma più pura.
L'amplificatore: un capolavoro in marmo e valvole
Le cuffie Orpheus sono inseparabili dal loro amplificatore, un'opera d'arte scolpita in un singolo blocco di marmo di Carrara, scelto per le sue proprietà di smorzamento delle vibrazioni. All'accensione, un meccanismo motorizzato fa emergere lentamente dal marmo i controlli in ottone e le otto valvole termoioniche, ora con un design migliorato per una migliore dissipazione del calore. L'amplificazione è un sofisticato sistema ibrido: uno stadio a stato solido ad altissima velocità integrato direttamente nei padiglioni delle cuffie (per eliminare la capacità del cavo) e uno stadio finale a valvole che conferisce calore e musicalità al suono. Anche il convertitore digitale-analogico (DAC) è stato completamente riprogettato, utilizzando i chip più avanzati sul mercato per una conversione del segnale digitale senza compromessi.
- Sistema: Cuffie elettrostatiche con amplificatore ibrido e DAC integrato
- Materiale Diaframma: Grafene, spessore 2.1 micrometri
- Risposta in Frequenza: 5 Hz – 100 kHz
- Distorsione Armonica Totale (THD): < 0.005% (a 1 kHz, 100 dB SPL)
- Amplificatore: Ibrido a Valvole (8x) e Stato Solido (in Classe A)
- Chassis Amplificatore: Marmo di Carrara massiccio
- DAC: 8x ESS SABRE ES9039PRO
- Risoluzioni Supportate: Fino a 32-bit/768kHz PCM, DSD1024
- Prezzo Stimato: ~ 75.000 Euro
Un'esperienza d'ascolto senza precedenti
Chi ha avuto il privilegio di provare le HE 2 parla di un'esperienza che trascende il semplice ascolto. La capacità del sistema di riprodurre ogni minima sfumatura, il silenzio assoluto tra una nota e l'altra e la ricostruzione tridimensionale del palcoscenico sonoro sono descritti come "sconvolgenti". Le voci e gli strumenti appaiono con una fisicità e una presenza reali, come se gli artisti si stessero esibendo dal vivo nella stessa stanza. Non si tratta più di ascoltare una registrazione, ma di accedere direttamente all'evento musicale originale. È un livello di fedeltà pensato non per un ascolto distratto, ma per una vera e propria immersione contemplativa nella musica.
La Sennheiser Orpheus HE 2 non è un prodotto per tutti, e non solo per il suo prezzo proibitivo. È una dichiarazione di intenti, la dimostrazione di ciò che è tecnologicamente possibile quando non si scende ad alcun compromesso nella ricerca della perfezione sonora. Ogni singolo componente, dal diaframma in grafene al blocco di marmo, è stato scelto per raggiungere un unico obiettivo: eliminare ogni barriera tra l'ascoltatore e la musica. In un mondo di audio compresso e ascolto frettoloso, le Orpheus HE 2 sono un monumento alla bellezza del suono e un punto di riferimento assoluto con cui ogni altro sistema audio del pianeta dovrà, da oggi, confrontarsi.
Di Alex (pubblicato @ 12:00:00 in Nuove Tecnologie, letto 33 volte)

Un moderno grattacielo le cui finestre sono realizzate con la nuova tecnologia di pannelli solari trasparenti, che generano energia.
Immaginate un mondo in cui ogni finestra di un grattacielo, ogni vetrata di una casa e persino il tettuccio della vostra auto possano generare elettricità senza bloccare la vista. Per anni questa è stata una chimera della tecnologia fotovoltaica, frenata da basse efficienze e scarsa trasparenza. Ora, un team di ricercatori internazionali ha annunciato un breakthrough che cambia le carte in tavola. Grazie a un nuovo materiale organico, è stata creata una cella solare trasparente che raggiunge un'efficienza record, rendendo finalmente concreta e commercialmente sostenibile la visione degli edifici come centrali elettriche verticali.
Come funzionano i pannelli solari invisibili
A differenza dei tradizionali pannelli in silicio, scuri e opachi, questa nuova tecnologia non cerca di catturare la luce visibile, quella che i nostri occhi percepiscono. Il suo segreto è un sottilissimo film di polimeri organici "sintonizzati" per assorbire selettivamente solo le lunghezze d'onda della luce a noi invisibili: l'ultravioletto (UV) e il vicino infrarosso (NIR). Una volta assorbita, questa energia viene "guidata" per luminescenza verso i bordi della lastra di vetro o plastica. Lì, sottili e quasi invisibili strisce di celle fotovoltaiche convenzionali convertono l'energia raccolta in elettricità. Il risultato è un pannello che ai nostri occhi appare come una normale finestra, ma che in realtà sta lavorando per produrre energia.
Il balzo in avanti: efficienza e trasparenza
La vera svolta sta nell'aver superato il compromesso che ha sempre afflitto questa tecnologia. I modelli precedenti o erano troppo poco efficienti per essere utili, o troppo poco trasparenti per funzionare come finestre. Il nuovo materiale a base di polimeri organici ha raggiunto un'efficienza di conversione energetica che supera l'8%, mantenendo al contempo una trasparenza alla luce visibile superiore al 75%. Si tratta di valori che, per la prima volta, rendono questi dispositivi commercialmente appetibili. Inoltre, i nuovi polimeri hanno dimostrato una stabilità e una durata nel tempo significativamente maggiori rispetto alle generazioni precedenti, un altro ostacolo cruciale che è stato superato.
- Tecnologia: Concentratore Solare Trasparente (TSC)
- Materiale Attivo: Polimeri organici selettivi (assorbono UV e NIR)
- Efficienza di Conversione: Superiore all'8%
- Trasparenza (spettro visibile): Superiore al 75%
- Principio di Funzionamento: Assorbimento selettivo e guida d'onda per luminescenza
- Celle di Conversione: Strisce fotovoltaiche (es. silicio amorfo) posizionate ai bordi
- Applicazioni Primarie: Finestre per edilizia (BIPV), tettucci per auto, display per elettronica
- Durata Stimata: Superiore a 15 anni
Un futuro energetico integrato nell'architettura
Le implicazioni di questa tecnologia sono immense. Pensiamo ai grattacieli moderni, le cui facciate sono quasi interamente in vetro. Trasformare queste enormi superfici passive in generatori di energia attivi potrebbe ridurre drasticamente il fabbisogno energetico degli edifici, che sono tra i maggiori consumatori di energia a livello globale. Questa tecnologia, nota come BIPV (Building-Integrated Photovoltaics), permetterebbe di raggiungere gli obiettivi di "edifici a energia quasi zero" (nZEB) in modo esteticamente invisibile, senza compromettere il design architettonico. Anche il settore automotive guarda con interesse a tettucci panoramici e finestrini capaci di alimentare i sistemi ausiliari del veicolo, aumentando l'autonomia complessiva.
Siamo di fronte a un cambio di paradigma: l'energia non viene più prodotta solo in grandi centrali lontane, ma viene generata in modo distribuito e invisibile dalle superfici che ci circondano. Questa innovazione nel campo dei pannelli solari trasparenti è un passo da gigante verso città più intelligenti e sostenibili. Sebbene l'efficienza non sia ancora paragonabile a quella dei pannelli opachi tradizionali, per le applicazioni architettoniche il vantaggio è innegabile. Il percorso verso la commercializzazione su larga scala è ancora in corso, ma la promessa di un futuro in cui ogni superficie di vetro contribuisce al nostro fabbisogno energetico è ora più concreta che mai.

Robot umanoide del futuro lavora con un ingegnere in una linea di produzione automobilistica
La fantascienza è diventata realtà. Con una mossa che segna una pietra miliare nella storia dell'automazione, BMW ha siglato un accordo commerciale con la startup di robotica Figure AI per portare i suoi robot umanoidi all'interno delle proprie fabbriche. Non si tratta di un semplice esperimento in laboratorio, ma del primo dispiegamento su larga scala di robot con sembianze umane in un vero impianto di produzione automobilistica. L'obiettivo non è sostituire gli operai, ma affiancarli, affidando alle macchine i compiti più faticosi, pericolosi e ripetitivi.
Figure 01: un robot che impara osservando
Il protagonista di questa rivoluzione è il robot Figure 01. A differenza dei bracci robotici statici che vediamo da decenni nelle fabbriche, il Figure 01 è un androide bipede capace di muoversi e interagire con l'ambiente in modo molto simile a un essere umano. La sua caratteristica più impressionante è il sistema di apprendimento basato sull'intelligenza artificiale. Invece di richiedere una complessa programmazione per ogni singolo movimento, il robot può imparare un compito semplicemente osservando un operatore umano che lo esegue. L'IA analizza i dati visivi e scompone l'azione in una sequenza di movimenti che il robot può poi replicare e ottimizzare. Questa capacità, unita a mani a cinque dita dotate di una notevole destrezza, gli permette di utilizzare attrezzi e componenti progettati per gli esseri umani.
L'integrazione nello stabilimento BMW
Il primo banco di prova per questa collaborazione sarà lo stabilimento BMW di Spartanburg, nella Carolina del Sud, uno dei più grandi al mondo. In una prima fase, un piccolo numero di robot Figure 01 verrà integrato in specifiche aree della catena di montaggio, come la carrozzeria e la logistica interna. I compiti iniziali includeranno lo smistamento di componenti, il sollevamento di parti pesanti e l'esecuzione di operazioni di avvitatura in posizioni scomode o ergonomicamente svantaggiose per un operaio. La sicurezza è una priorità assoluta: i robot sono dotati di attuatori elettrici, più fluidi e sicuri di quelli idraulici, e di un sistema di sensori avanzato per operare fianco a fianco con le persone senza rischi.
- Robot: Figure 01
- Tipologia: Umanoide Elettromeccanico
- Altezza e Peso: ~170 cm, ~60 kg
- Autonomia: ~5 ore di lavoro continuo
- Sistema di Apprendimento: AI basata su "Observation Learning" e "Reinforcement Learning"
- Manipolazione: Mani a 5 dita con destrezza fine
- Partner Industriale: BMW Manufacturing Co.
- Luogo di Impiego: Stabilimento di Spartanburg, South Carolina (USA)
- Compiti Iniziali: Logistica, movimentazione carichi, assemblaggio in carrozzeria
Il futuro della manifattura e del lavoro
Questa partnership non è solo una vetrina tecnologica, ma l'inizio di un profondo cambiamento nel mondo del lavoro industriale. L'idea di BMW e Figure AI non è quella di creare fabbriche "buil", ma di realizzare una collaborazione uomo-robot in cui ogni parte fa ciò che sa fare meglio. Gli esseri umani si occuperanno di problem-solving, controllo qualità e compiti che richiedono creatività e flessibilità cognitiva. I robot umanoidi si faranno carico dei lavori fisicamente usuranti, aumentando la produttività e, soprattutto, riducendo drasticamente il rischio di infortuni per i dipendenti. Se questo progetto pilota avrà successo, potrebbe definire un nuovo standard per l'industria manifatturiera globale.
Siamo testimoni di un momento storico: il robot umanoide esce dai laboratori di ricerca per entrare nel cuore pulsante della produzione industriale. La collaborazione tra Figure AI e BMW è molto più di un accordo commerciale; è un esperimento sociale e tecnologico che esplora il futuro della coesistenza tra intelligenza umana e artificiale. Le sfide sono ancora enormi, ma la visione è chiara: un futuro in cui la tecnologia non sostituisce l'uomo, ma lo potenzia, rendendo il lavoro più sicuro, meno faticoso e, in ultima analisi, più umano. Il successo di questo progetto ci dirà se siamo pronti per avere dei colleghi androidi.
Di Alex (pubblicato @ 08:00:00 in Nuove Tecnologie, letto 111 volte)

Il dispositivo AI tascabile Rabbit R1 in colorazione arancione, tenuto in una mano, con la sua iconica rotellina di scorrimento.
Presentato al CES come il "Tamagotchi del futuro", il Rabbit R1 ha scatenato un'ondata di entusiasmo e preordini, promettendo di rivoluzionare la nostra interazione con la tecnologia. L'idea è tanto semplice quanto ambiziosa: un piccolo dispositivo AI da 199 dollari che usa le app al posto nostro, liberandoci dalla schiavitù degli smartphone. Ora che i primi modelli sono arrivati nelle mani degli utenti e dei recensori, il verdetto è tutt'altro che unanime. Il Rabbit R1 è la visione geniale del futuro o un gadget affascinante ma, in ultima analisi, inutile?
Il "Large Action Model": un'IA che impara a usare le app
Il cuore pulsante del Rabbit R1 non è un modello linguistico come ChatGPT, ma un "Large Action Model" (LAM). Invece di limitarsi a comprendere e generare testo, il LAM è stato addestrato a riconoscere e utilizzare le interfacce delle applicazioni web come farebbe un essere umano. L'obiettivo è superare la necessità di avere decine di app installate: basta chiedere a voce al R1 di "ordinare un Uber per l'aeroporto" o "trovare una ricetta per la cena con quello che ho in frigo" e il dispositivo, tramite i suoi "rabbits" che operano nel cloud, interagisce con i servizi di Uber o di ricette per portare a termine il compito. Una promessa potentissima, che si scontra però con la realtà di un sistema ancora acerbo e con poche integrazioni funzionanti.
Design iconico, hardware modesto
Il design, curato dalla celebre casa svedese Teenage Engineering, è indiscutibilmente il punto di forza del R1. Un piccolo quadrato arancione acceso, con un display touchscreen, una rotellina per lo scorrimento, un pulsante "push-to-talk" e una fotocamera rotante a 360 gradi chiamata "Rabbit Eye". L'estetica retrò e giocosa ha conquistato tutti. L'hardware interno, tuttavia, è decisamente meno impressionante. Il processore è un MediaTek Helio P35, un chip da smartphone di fascia bassa del 2018, affiancato da 4 GB di RAM. Una dotazione modesta che, secondo l'azienda, è sufficiente poiché la maggior parte dell'elaborazione AI avviene nel cloud. Le recensioni, però, hanno evidenziato una reattività non sempre fulminea e un'autonomia della batteria piuttosto deludente.
- SoC: MediaTek Helio P35 (Octa-core 2.3GHz)
- Memoria: 4 GB RAM / 128 GB Storage
- Display: 2.88 pollici TFT Touchscreen
- Fotocamera ("Rabbit Eye"): 8 MP, rotante a 360°
- Connettività: Wi-Fi (2.4/5GHz), Bluetooth 5.0, 4G LTE (via slot SIM)
- Audio: 2 microfoni, 1 altoparlante
- Batteria: 1000 mAh
- Sistema Operativo: Rabbit OS basato su Large Action Model (LAM)
- Dimensioni e Peso: 78x78x13 mm, 115 grammi
La realtà dei fatti: promesse contro prestazioni
Le prime recensioni, da The Verge a HDBlog.it, sono state impietose. Molte delle funzionalità promesse, come l'integrazione con DoorDash o Uber, non erano attive al lancio o funzionavano in modo inaffidabile. L'IA si è dimostrata spesso più lenta di un utente medio con uno smartphone in mano e l'utilità pratica del dispositivo è stata messa in forte discussione. Alcuni sviluppatori hanno persino dimostrato che il sistema operativo Rabbit OS non è altro che un'app Android mascherata, una tesi smentita dall'azienda ma che ha alimentato il dibattito. Nonostante ciò, l'azienda continua a rilasciare aggiornamenti OTA (Over-The-Air) che stanno gradualmente migliorando le performance e aggiungendo funzionalità, come la recente possibilità di personalizzare l'interfaccia con un prompt testuale.
Il Rabbit R1 è l'emblema perfetto dell'attuale era dell'intelligenza artificiale: un concentrato di idee visionarie, marketing eccezionale e una realtà tecnologica che fatica a tenere il passo. È un oggetto affascinante, un pezzo di design che fa sognare un futuro senza app, ma che oggi non può sostituire lo smartphone. Forse, come sostengono alcuni, il suo vero valore non è in ciò che fa, ma in ciò che rappresenta: il primo, coraggioso tentativo di creare una nuova categoria di dispositivi personali. Sarà un successo o un pezzo da museo per appassionati di tecnologia? Solo il tempo e la capacità di Rabbit di mantenere le sue promesse software potranno dircelo.
Fotografie del 03/08/2025
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