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Articoli del 16/10/2025

Un'immagine evocativa in stile cyberpunk di una Los Angeles notturna e piovosa nel 2099, con auto volanti e ologrammi giganti.
Un'immagine evocativa in stile cyberpunk di una Los Angeles notturna e piovosa nel 2099, con auto volanti e ologrammi giganti.

L'universo di Blade Runner è pronto a espandersi ancora. Amazon ha confermato ufficialmente la produzione di "Blade Runner 2099", una serie TV live-action che fungerà da sequel diretto di "Blade Runner 2049". Con Ridley Scott a bordo come produttore esecutivo e Silka Luisa (Shining Girls) come showrunner, il progetto si preannuncia come uno degli eventi televisivi più attesi dei prossimi anni, con un debutto previsto per fine 2026. ARTICOLO COMPLETO

Cosa sappiamo della trama
I dettagli sulla trama sono ancora scarsi, ma il titolo stesso ci dà un'indicazione fondamentale: la storia si svolgerà 50 anni dopo gli eventi del film di Denis Villeneuve. Silka Luisa ha dichiarato che la serie esplorerà "la prossima evoluzione dell'umanità e dell'intelligenza artificiale". Ci si può aspettare che vengano affrontati temi come la longevità dei replicanti Nexus-9, le conseguenze della rivoluzione accennata in "2049" e il ruolo della Tyrell Corporation (o di ciò che ne resta) in questo nuovo futuro. Ridley Scott ha confermato che il primo episodio getterà le basi per un mondo profondamente cambiato, ma visivamente e tematicamente coerente con i film precedenti.

Produzione e cast
La produzione è di altissimo livello. Oltre a Scott, anche Michael Green, co-sceneggiatore di "Blade Runner 2049", è coinvolto come produttore. La regia dei primi episodi è stata affidata a Jonathan van Tulleken, noto per il suo lavoro sulla acclamata serie "Shōgun". Per quanto riguarda il cast, non ci sono ancora annunci ufficiali, ma circolano voci insistenti sulla possibile partecipazione di Harrison Ford in un ruolo di collegamento, anche se probabilmente marginale. È improbabile, invece, un ritorno di Ryan Gosling, il cui arco narrativo si è concluso nel film precedente.

"Blade Runner 2099" ha il potenziale per essere un capolavoro o un'occasione mancata. L'eredità dei due film è immensa, ma il team produttivo di altissimo profilo e la promessa di espandere questo affascinante universo narrativo lasciano ben sperare. I fan dovranno armarsi di pazienza, ma l'attesa per tornare a immergersi nelle strade piovose di una Los Angeles cyberpunk sarà, si spera, ampiamente ripagata.

 
 
Il Samsung Galaxy A35 si posiziona come uno dei migliori smartphone nella sua fascia di prezzo.
Il Samsung Galaxy A35 si posiziona come uno dei migliori smartphone nella sua fascia di prezzo.

La fascia media del mercato smartphone è un campo di battaglia affollatissimo, ma Samsung continua a dominarla con una formula precisa: portare caratteristiche un tempo riservate ai top di gamma a un prezzo accessibile. Il nuovo Galaxy A35 è l'ultima incarnazione di questa strategia, un dispositivo che promette un'esperienza quasi da flagship senza svuotare il portafoglio. ARTICOLO COMPLETO



Il Samsung Galaxy A35 si presenta come un dispositivo con specifiche da medio di gamma che lo rendono estremamente interessante, offrendo un pacchetto bilanciato e affidabile. Analizziamone ogni aspetto in dettaglio.

Design e display: un'esperienza visiva premium
Il punto di forza che salta subito all'occhio è il display. Il Galaxy A35 monta un pannello Super AMOLED da 6,6 pollici con risoluzione Full HD+ (2340 x 1080 pixel) e una frequenza di aggiornamento fino a 120 Hz. Questo si traduce in colori vividi, neri assoluti e una fluidità eccezionale, caratteristiche difficili da trovare in questa fascia di prezzo. La protezione è garantita dal vetro Gorilla Glass Victus Plus, mentre la certificazione IP67 per la resistenza ad acqua e polvere aggiunge una tranquillità tipica dei modelli superiori.

Hardware e prestazioni: il cuore Exynos 1380
A muovere il dispositivo troviamo il processore Samsung Exynos 1380, un chip octa-core realizzato con processo produttivo a 5 nm che garantisce un buon equilibrio tra prestazioni ed efficienza energetica. È affiancato da 6 o 8 GB di RAM e 128 o 256 GB di memoria interna, espandibile fino a 1 TB tramite microSD. Nell'uso quotidiano, questa configurazione offre un'esperienza fluida e reattiva, gestendo senza problemi multitasking e app comuni. L'uso di un chip proprietario permette a Samsung di ottimizzare l'integrazione hardware-software e di controllare i costi di produzione.

Comparto fotografico: 50 megapixel stabilizzati
La fotografia è un altro fiore all'occhiello. Il sensore principale è un'unità da 50 MP con apertura f/1.8 e, soprattutto, stabilizzazione ottica dell'immagine (OIS). Questa caratteristica, non scontata a questo prezzo, permette di ottenere scatti nitidi e video stabili anche in condizioni di scarsa luminosità. Il comparto è completato da un sensore ultra-grandangolare da 8 MP e da un sensore macro da 5 MP. Sebbene la fotocamera principale sia la vera star, il pacchetto complessivo è definito da molti il migliore nella sua categoria di prezzo.

Autonomia e ricarica: tanta durata, poca velocità
La batteria da 5.000 mAh garantisce un'ottima autonomia, consentendo di arrivare a fine giornata anche con un uso intenso. Il lato debole, tuttavia, è la ricarica. Il supporto alla ricarica "rapida" a 25 watt è ormai superato da molti concorrenti, anche più economici, che offrono velocità decisamente superiori. È un compromesso che si deve accettare in cambio delle altre caratteristiche premium.

Software e aggiornamenti: la promessa di lunga vita
Forse il più grande valore aggiunto del Galaxy A35 è il software. Arriva con Android 14 e la One UI 6.1, ma soprattutto gode della politica di aggiornamenti di Samsung: 4 nuove versioni di Android e 5 anni di patch di sicurezza. Questa garanzia di longevità e sicurezza è un fattore differenziante enorme, che trasforma l'acquisto in un investimento a lungo termine.

In conclusione, il Samsung Galaxy A35 si conferma un acquisto eccellente. Non è il più potente né il più veloce a ricaricarsi, ma offre un pacchetto incredibilmente bilanciato. Con il suo display superbo, una fotocamera principale di alta qualità e una politica di aggiornamenti senza rivali, si candida a essere il vero re della fascia media, ideale per chi cerca affidabilità e durata nel tempo.

 
 
Un'illustrazione stilizzata che mostra una scatola chiusa. All'interno, la figura di un gatto è rappresentata sia viva che morta contemporaneamente, a simboleggiare la sovrapposizione quantistica.
Un'illustrazione stilizzata che mostra una scatola chiusa. All'interno, la figura di un gatto è rappresentata sia viva che morta contemporaneamente, a simboleggiare la sovrapposizione quantistica.

Uno dei più celebri e fraintesi esperimenti mentali della scienza, il paradosso del gatto di Schrödinger, fu concepito dal fisico Erwin Schrödinger nel 1935 non per dimostrare che un gatto potesse essere contemporaneamente vivo e morto, ma per evidenziare l'assurdità che derivava dall'applicare le bizzarre regole della meccanica quantistica al mondo macroscopico che esperiamo tutti i giorni. Analizziamo cosa rappresenta davvero. ARTICOLO COMPLETO

L'esperimento mentale
Immaginiamo di chiudere un gatto in una scatola d'acciaio insieme a un meccanismo infernale: una fiala di veleno e un martelletto pronto a romperla. Il martelletto è collegato a un contatore Geiger che monitora un singolo atomo radioattivo. In un dato intervallo di tempo, poniamo un'ora, l'atomo ha esattamente il 50% di probabilità di decadere e il 50% di probabilità di non decadere. Se l'atomo decade, il contatore Geiger scatta, il martelletto rompe la fiala e il gatto muore. Se non decade, il gatto vive.

La sovrapposizione quantistica
Secondo l'interpretazione di Copenaghen della meccanica quantistica, fino a quando non viene effettuata un'osservazione, l'atomo si trova in uno stato di "sovrapposizione": non è né decaduto né non decaduto, ma entrambe le cose contemporaneamente. Schrödinger, con il suo paradosso, estende questa stranezza al mondo macroscopico: se lo stato dell'atomo è indeterminato, allora anche il destino del gatto, che dipende da esso, deve essere indeterminato. Fino a quando non apriamo la scatola per osservare, il gatto non è né vivo né morto, ma si trova in una macabra sovrapposizione di "gatto vivo" e "gatto morto".

Il significato del paradosso
L'atto di aprire la scatola e guardare dentro è l' "osservazione" che costringe il sistema a "scegliere" uno stato definito: l'atomo o è decaduto o non lo è, e il gatto o è vivo o è morto. Questo collasso della funzione d'onda è uno dei concetti più controintuitivi della fisica. Schrödinger non credeva che un gatto potesse letteralmente essere in due stati contemporaneamente. Il suo era un argomento per assurdo, progettato per criticare l'interpretazione di Copenaghen e per evidenziare il problema del "confine" tra il mondo quantistico (dove la sovrapposizione è la norma) e il mondo classico (dove non lo è).

Il paradosso del gatto di Schrödinger rimane uno strumento pedagogico potentissimo per introdurre il concetto di sovrapposizione e il ruolo dell'osservatore nella meccanica quantistica. Non ci dice nulla sulla biologia dei gatti, ma ci costringe a confrontarci con una realtà, quella subatomica, dove le regole della nostra intuizione quotidiana cessano di essere valide, aprendo le porte a un universo molto più strano e affascinante di quanto possiamo immaginare.

 
 
Una rappresentazione artistica dell'universo primordiale con onde gravitazionali che increspano lo spaziotempo.
Una rappresentazione artistica dell'universo primordiale con onde gravitazionali che increspano lo spaziotempo.

Un nuovo studio basato sui dati raccolti dagli array di pulsar timing (PTA) ha rivelato un "ronzio" di fondo di onde gravitazionali a bassissima frequenza che pervade l'universo. Sebbene previsto dalla teoria, l'intensità di questo segnale è molto più alta di quanto i modelli standard si aspettassero, suggerendo la presenza di fenomeni cosmologici sconosciuti o la necessità di rivedere le nostre teorie sull'universo primordiale. ARTICOLO COMPLETO

Ascoltare l'universo con le pulsar
A differenza di LIGO e Virgo, che rilevano onde gravitazionali ad alta frequenza generate da eventi violenti come fusioni di buchi neri, gli esperimenti PTA come NANOGrav usano le pulsar millisecondo come una rete di orologi cosmici di precisione. Queste stelle di neutroni ruotano centinaia di volte al secondo, emettendo fasci di onde radio a intervalli regolarissimi. Il passaggio di un'onda gravitazionale a bassissima frequenza "stira" e "comprime" lo spaziotempo tra la Terra e una pulsar, causando una minuscola ma rilevabile variazione nel tempo di arrivo dei suoi segnali.

Un segnale troppo forte
Dopo oltre 15 anni di osservazioni, i dati combinati di diversi PTA hanno confermato con un'altissima significatività statistica la presenza di questo fondo stocastico di onde gravitazionali. La fonte più probabile sono le coppie di buchi neri supermassicci che spiraleggiano lentamente l'uno verso l'altro al centro delle galassie in fusione. Tuttavia, i modelli astrofisici attuali che simulano queste fusioni non riescono a spiegare l'ampiezza del segnale osservato: è da due a tre volte più intenso del previsto.

Nuova fisica all'orizzonte?
Questa discrepanza ha acceso l'entusiasmo della comunità scientifica, poiché potrebbe essere la prima prova di "nuova fisica". Tra le ipotesi alternative, vi sono le vibrazioni di stringhe cosmiche, transizioni di fase nell'universo primordiale o persino forme esotiche di materia oscura. I prossimi anni saranno cruciali: l'aumento della sensibilità dei PTA, grazie all'inclusione di più pulsar e a un periodo di osservazione più lungo, permetterà di mappare questo fondo con maggiore precisione, aiutando i cosmologi a distinguere tra le diverse teorie e, forse, a scoprire un capitolo completamente nuovo della storia del cosmo.

La scoperta del fondo di onde gravitazionali a bassa frequenza non è un punto di arrivo, ma l'inizio di una nuova era per l'astronomia. Il "ronzio" dell'universo è più forte del previsto, e capire il perché potrebbe costringerci a riconsiderare alcuni degli assunti fondamentali sulla formazione delle galassie e sull'evoluzione dell'universo stesso. L'indagine è appena iniziata, e le risposte promettono di essere rivoluzionarie.

 
 
Di Alex (pubblicato @ 10:00:00 in Misteri, letto 56 volte)
Una rappresentazione artistica di un disco volante precipitato nel deserto del New Mexico, con detriti metallici sparsi al suolo.
Una rappresentazione artistica di un disco volante precipitato nel deserto del New Mexico, con detriti metallici sparsi al suolo.

Nel luglio del 1947, qualcosa precipitò in un ranch vicino a Roswell, New Mexico. Da allora, l'incidente è diventato il caso più iconico e dibattuto della storia dell'ufologia. Ma cosa accadde veramente? Analizzando i fatti storici e le spiegazioni ufficiali fornite dall'aeronautica militare statunitense, è possibile tracciare un quadro molto più terrestre, seppur affascinante, di un evento trasformato in leggenda dal folklore e dalla segretezza militare. ARTICOLO COMPLETO

I fatti iniziali e il comunicato stampa
Tutto iniziò quando un allevatore, W.W. "Mac" Brazel, scoprì un campo di strani detriti metallici e di gomma. Informato lo sceriffo locale, la questione arrivò rapidamente alla base aerea di Roswell, che inviò il maggiore Jesse Marcel a investigare. Inizialmente, l'esercito emise un comunicato stampa sensazionale, annunciando il recupero di un "disco volante". Tuttavia, poche ore dopo, la narrativa cambiò drasticamente: i detriti appartenevano a un pallone meteorologico, e il maggiore Marcel fu fotografato con i resti di questo pallone per smentire la storia.

La spiegazione ufficiale: il progetto Mogul
Per decenni, la spiegazione del pallone sonda rimase quella ufficiale, ma non convinse mai del tutto la comunità ufologica. Solo negli anni '90, l'US Air Force declassificò una serie di documenti che rivelarono la vera natura dell'oggetto: si trattava di un pallone ad alta quota del Progetto Mogul, un programma militare top-secret volto a monitorare eventuali test nucleari sovietici tramite sensori acustici trasportati da palloni stratosferici. I materiali dei detriti trovati da Brazel (stagnola riflettente, nastro adesivo con simboli, travi di balsa) erano perfettamente compatibili con quelli usati per questi palloni.

La nascita di un mito
La segretezza che circondava il Progetto Mogul, unita alla ritrattazione frettolosa e poco convincente dell'esercito, creò un terreno fertile per le teorie del complotto. Negli anni successivi, testimoni (spesso con ricordi emersi decenni dopo) iniziarono a parlare di corpi alieni e navicelle intatte, alimentando un mito che è cresciuto a dismisura, culminando in libri, film e persino nel famoso video dell' "autopsia aliena" (poi rivelatosi un falso). La spiegazione del Progetto Mogul, sebbene meno eccitante, è supportata da prove documentali e offre un quadro coerente di come un incidente militare segreto sia stato interpretato come un evento extraterrestre.

Il caso Roswell è un esempio perfetto di come la segretezza governativa e il desiderio umano di credere nello straordinario possano creare una leggenda quasi indistruttibile. Sebbene le prove indichino una spiegazione convenzionale legata allo spionaggio della Guerra Fredda, il disco volante di Roswell continua a vivere nell'immaginario collettivo, a testimonianza del fascino intramontabile dei misteri dello spazio e della domanda "siamo soli?".

 
 
Di Alex (pubblicato @ 09:00:00 in Fantascienza-Misteri, letto 42 volte)
Il celebre fotogramma del filmato di Patterson-Gimlin del 1967, che mostra la presunta creatura Bigfoot mentre cammina nella foresta.
Il celebre fotogramma del filmato di Patterson-Gimlin del 1967, che mostra la presunta creatura Bigfoot mentre cammina nella foresta.

Il Bigfoot, o Sasquatch, è una delle figure più radicate nel folklore nordamericano e un caposaldo della criptozoologia. Nonostante decenni di presunti avvistamenti, impronte e filmati sgranati, la comunità scientifica rimane scettica. Ma quali sono le "prove" a sostegno della sua esistenza, e perché la scienza non le ritiene sufficienti? Analizziamo il fenomeno in modo critico e obiettivo, al di là del mito. ARTICOLO COMPLETO

Le prove principali: filmati e impronte
La prova più famosa a favore del Bigfoot è il filmato girato da Roger Patterson e Bob Gimlin nel 1967 a Bluff Creek, in California. Il breve filmato mostra una figura alta e pelosa che cammina con andatura bipede. Sebbene iconico, il filmato è molto controverso: molti esperti di effetti speciali e anatomisti ritengono che si tratti di un uomo in un costume, evidenziando incongruenze nella muscolatura e nel movimento. Altre prove comuni sono le grandi impronte ritrovate nelle foreste. Tuttavia, la maggior parte di queste si è rivelata essere opera di burloni o errate identificazioni di tracce di animali noti (come orsi) deformate dal terreno.

L'analisi del DNA e l'assenza di fossili
Negli ultimi anni, sono stati condotti diversi studi genetici su presunti campioni di peli e tessuti di Bigfoot. Un'analisi completa del 2014, guidata dal genetista Bryan Sykes dell'Università di Oxford, ha esaminato decine di campioni provenienti da tutto il mondo. I risultati sono stati deludenti per i sostenitori del Bigfoot: la maggior parte dei campioni apparteneva a orsi, lupi, mucche e altri animali conosciuti. Un altro grande ostacolo per la tesi del Bigfoot è la totale assenza di prove fossili. Per una popolazione di primati di grandi dimensioni possa sopravvivere e riprodursi per secoli, dovrebbe lasciare tracce nel record fossile, cosa che non è mai avvenuta.

Dal punto di vista scientifico, non esiste alcuna prova credibile che supporti l'esistenza del Bigfoot. Le prove aneddotiche, i filmati sfuocati e le impronte non reggono a un'analisi rigorosa. Il fenomeno Bigfoot è meglio compreso come un potente mito moderno, un prodotto del folklore, della psicologia umana (la pareidolia, il desiderio di credere) e della vastità selvaggia del continente nordamericano. Rappresenta il nostro fascino per l'ignoto e per l'idea che, forse, non abbiamo ancora scoperto tutto.

 
 
Il Kenbak-1, progettato nel 1971, è riconosciuto come il primo personal computer al mondo.
Il Kenbak-1, progettato nel 1971, è riconosciuto come il primo personal computer al mondo.

La narrazione comune colloca la nascita del personal computer a metà degli anni '70, con l'Apple II o il kit dell'Altair 8800. Ma la storia è diversa. Il primo vero PC è nato prima, nel 1971, in un'epoca dominata da mainframe grandi come stanze. Si chiamava Kenbak-1 e fu il frutto della visione di un uomo che immaginò un computer per l'individuo prima ancora che esistesse il microprocessore. ARTICOLO COMPLETO



Nel 1986, il Computer Museum di Boston lanciò un concorso per determinare quale fosse stato il primo vero personal computer. Il vincitore non fu un prodotto di Apple o Microsoft, ma il Kenbak-1 di John Blankenbaker, un dispositivo che anticipò la rivoluzione informatica di diversi anni.

John Blankenbaker e la sua visione
All'inizio degli anni '70, i computer erano strumenti inaccessibili, riservati a governi e grandi aziende. In questo contesto, l'idea di un computer "personale" era a dir poco rivoluzionaria. John Blankenbaker, un ingegnere informatico, ebbe la visione di creare una macchina economica e accessibile, non per il business, ma per scopi educativi. Voleva uno strumento che potesse insegnare i principi della programmazione e della logica informatica. Lavorando da solo nel suo garage, progettò e costruì il computer, scrivendo anche tutti i manuali di riferimento. Il suo obiettivo era venderlo a 750 dollari, un prezzo incredibilmente basso per l'epoca.

Anatomia del primo PC: interruttori e luci
Il Kenbak-1 era un prodotto del suo tempo, un'epoca precedente all'invenzione del microprocessore. La sua architettura non era basata su un singolo chip CPU, ma su circuiti integrati a piccola e media scala (SSI e MSI). La sua memoria era di soli 256 byte. Ma la caratteristica più distintiva era la sua interfaccia: non c'erano né schermo né tastiera. L'input veniva inserito tramite una serie di interruttori sul pannello frontale, e l'output veniva letto attraverso una fila di luci. Per usarlo, bisognava "parlare" con la macchina nel suo linguaggio nativo, il binario. Questo lo rendeva uno strumento educativo potente, ma anche incredibilmente ostico per chiunque non fosse un appassionato.

Il fallimento commerciale e l'arrivo dell'Altair
Nonostante la visione pionieristica, il Kenbak-1 fu un fallimento commerciale. Blankenbaker riuscì a vendere solo una quarantina di unità prima di chiudere l'azienda nel 1973. Il suo prodotto era arrivato troppo presto, prima che si formasse una vera cultura hobbistica attorno all'informatica. Il successo arrise invece, nel 1975, al MITS Altair 8800. Basato sul nuovo microprocessore Intel 8080 e presentato come un kit da assemblare sulla rivista "Popular Electronics", l'Altair catturò l'immaginazione di una nascente comunità di appassionati di elettronica, generando migliaia di ordini e dando il via alla rivoluzione. Il suo successo fu tanto culturale e di marketing quanto tecnologico.

Sebbene dimenticato per anni, il Kenbak-1 si è guadagnato il suo posto nella storia. Non fu un successo, ma rappresentò la prima, coraggiosa incarnazione fisica dell'idea di un computer per l'individuo. Fu un passo fondamentale, un'intuizione geniale che anticipò di anni la rivoluzione che avrebbe cambiato per sempre il nostro mondo, dimostrando che le grandi idee spesso precedono la tecnologia e il mercato necessari per realizzarle.

 
 
Un'immagine macro di un processore futuristico con chiplet ottici che emettono deboli fasci di luce, interconnessi da guide d'onda fotoniche.
Un'immagine macro di un processore futuristico con chiplet ottici che emettono deboli fasci di luce, interconnessi da guide d'onda fotoniche.

La legge di Moore sta raggiungendo i suoi limiti fisici, ma una nuova tecnologia promette di aprire un'era di performance inimmaginabili: i chiplet ottici. Sostituendo le connessioni elettriche tra i core di un processore con impulsi di luce, la fotonica del silicio potrebbe eliminare i colli di bottiglia della comunicazione dati, portando a un'efficienza energetica e a una velocità di calcolo ordini di grandezza superiori a quelle attuali. ARTICOLO COMPLETO

Il problema del "muro di memoria"
Nei processori moderni, la velocità di calcolo dei singoli core è aumentata esponenzialmente, ma la velocità con cui questi core possono comunicare tra loro e con la memoria (la larghezza di banda) non ha tenuto il passo. Questo crea un "muro di memoria", un collo di bottiglia che limita le prestazioni complessive, specialmente nei carichi di lavoro dell'intelligenza artificiale e dell'analisi di big data. Le connessioni elettriche in rame, infatti, consumano molta energia, generano calore e perdono integrità del segnale su distanze anche minime all'interno di un chip.

La soluzione: comunicare con la luce
La fotonica del silicio propone di risolvere questo problema incidendo minuscole "guide d'onda" direttamente sul silicio, creando dei veri e propri circuiti ottici. Invece di elettroni che si muovono attraverso fili di rame, sono i fotoni (particelle di luce) a viaggiare in queste guide. I vantaggi sono enormi: la luce viaggia più velocemente, non genera calore per resistenza, non subisce interferenze elettromagnetiche e può trasportare molti più dati contemporaneamente utilizzando diverse lunghezze d'onda (colori) sulla stessa guida.

Dai laboratori ai data center
Aziende come Intel, Ayar Labs e GlobalFoundries stanno già producendo i primi prototipi di processori con chiplet ottici. Questi "co-packaged optics" integrano i componenti fotonici direttamente accanto ai chip di calcolo. Un recente prototipo presentato su Nature ha dimostrato una larghezza di banda di interconnessione superiore di dieci volte rispetto alle migliori soluzioni elettriche, con un consumo energetico ridotto del 95%. Sebbene la tecnologia sia ancora costosa, il suo primo campo di applicazione saranno i data center, dove l'efficienza energetica e la velocità di calcolo sono cruciali.

I chiplet ottici non sono più fantascienza. Rappresentano la prossima, inevitabile evoluzione dell'hardware per il calcolo ad alte prestazioni. Sostituendo i fili con la luce, questa tecnologia promette di abbattere le barriere che oggi limitano la potenza dei nostri computer, aprendo la strada a modelli di IA più complessi, simulazioni scientifiche più accurate e un'infrastruttura cloud più veloce ed efficiente dal punto di vista energetico.

 
 

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