Google+: L'ambizioso fallimento di Google nel tentativo di sfidare Facebook
 Il logo di Google+ con la '+', che si dissolve o si frantuma su uno sfondo che rappresenta un'interfaccia social frammentata e poco utilizzata, con elementi visivi di fallimento o abbandono.
Lanciato nel 2011, Google+ fu il tentativo più ambizioso di Google di sfidare Facebook nel settore dei social network. Integrato forzatamente in tutti i servizi Google, introduceva concetti innovativi come i "Circles". Nonostante ingenti investimenti, fallì a causa della scarsa adozione, della confusione degli utenti e di un grave bug di sicurezza, chiudendo definitivamente nel 2019. La sua storia è un monito sulle difficoltà di competere in un mercato dominato.
L'assalto al trono di Facebook: la nascita di Google+Nel giugno 2011, Google lanciò Google+, il suo quarto (e più ambizioso) tentativo di entrare nel mercato dei social network, dopo i fallimenti di Orkut, Google Buzz e Google Wave. L'obiettivo era chiaro: sfidare apertamente Facebook, che all'epoca dominava il panorama social. Google+, sviluppato sotto la guida di Vic Gundotra, introdusse concetti interessanti e un'interfaccia pulita, mirando a correggere gli errori dei predecessori e a sfruttare l'enorme base utenti di Google. Innovazione e integrazione forzata: i "Circles" e gli HangoutsGoogle+ presentava alcune funzionalità innovative degne di nota:
- Circles (Cerchie): Permetteva agli utenti di organizzare i propri contatti in gruppi personalizzati (famiglia, amici stretti, colleghi), controllando chi vedeva cosa. Questo offriva un livello di controllo sulla privacy e sulla condivisione che Facebook all'epoca non aveva.
- Hangouts: Offriva videochiamate di gruppo integrate, molto prima che diventassero uno standard.
- Integrazione forzata: Google cercò di spingere l'adozione di Google+ integrandolo pesantemente in tutti i suoi servizi. Un account Google+ divenne quasi obbligatorio per usare YouTube, Gmail e altri prodotti Google, portando a numeri di utenti registrati artificialmente gonfiati.
Numeri gonfiati e l'assenza di engagement realeNonostante Google dichiarasse numeri impressionanti (a un certo punto 540 milioni di utenti registrati), l'engagement reale su Google+ era bassissimo. La maggior parte delle persone aveva un account perché forzata a farlo per accedere ad altri servizi Google, ma non lo utilizzava attivamente per socializzare o condividere contenuti. Mancava un caso d'uso convincente che spingesse gli utenti a preferirlo a Facebook, dove avevano già le loro reti consolidate. Mancanza di identità e confusione degli utentiGoogle+ faticò a trovare una propria identità. Era troppo simile a Facebook per essere percepito come un'alternativa radicale, ma non abbastanza diverso o migliore per giustificare il passaggio di milioni di utenti. La complessità delle "Cerchie", seppur innovativa, confondeva molti, e la piattaforma non riuscì a generare quel senso di comunità e vivacità che caratterizzava i suoi rivali. Il bug di sicurezza e la chiusura definitivaIl colpo di grazia arrivò nell'ottobre 2018, quando Google rivelò un grave bug di sicurezza che aveva esposto i dati personali di circa 500.000 utenti. Questo scandalo accelerò la decisione già in corso di chiudere la piattaforma per i consumatori. Google annunciò la chiusura definitiva di Google+ nell'aprile 2019, riconoscendo uno dei suoi fallimenti più costosi e clamorosi. Google+ è un caso studio affascinante nel mondo dei social media. Ha dimostrato che neanche un gigante come Google, con risorse illimitate e un'enorme base utenti, può imporre un social network se manca un vero engagement e un'identità chiara. Sebbene molte delle sue idee (come le videochiamate di gruppo e la gestione granulare della privacy) siano state poi adottate da altri, la storia di Google+ rimane un monito sulla difficoltà di competere in un mercato dominato e sulla necessità di ascoltare i bisogni reali degli utenti.
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