Dalla Silicon Valley alla maternità surrogata: l'inquietante ascesa del pronatalismo nelle Big Tech

Un'immagine stilizzata di un feto in un utero tecnologico, circondato da codice binario
La storia di Cindy Bi, imprenditrice tech, e della sua campagna di molestie contro la madre surrogata che portava in grembo suo figlio, sembra la trama di un thriller psicologico. Invece, come svelato da un'inchiesta di Wired, è un caso reale che squarcia il velo su un'ideologia sempre più diffusa nella Silicon Valley: il pronatalismo. Un'ossessione per la fertilità e la genetica che, spinta da figure come Elon Musk, trasforma la procreazione in un altro sistema da ottimizzare. LEGGI TUTTO
Il caso Cindy Bi: quando l'ottimizzazione diventa abuso
Il racconto di Wired è agghiacciante. Cindy Bi e il suo partner hanno assunto una madre surrogata, Brittan, per poi sottoporla a un regime di sorveglianza e controllo totalitario. Pretendevano di monitorarla con telecamere, controllavano la sua dieta in modo maniacale e la bombardavano di messaggi a ogni ora. Questo comportamento non era solo quello di due genitori ansiosi, ma l'applicazione estrema della mentalità tech: trattare la gravidanza come un processo da ingegnerizzare e la madre surrogata come un "hardware" da cui esigere la massima performance, privandola di ogni autonomia e umanità.
Il pronatalismo: la nuova ossessione dei miliardari tech
Il caso Bi non nasce nel vuoto, ma si innesta in una corrente di pensiero sempre più forte tra le élite tecnologiche: il pronatalismo. Figure come Elon Musk, che twitta costantemente sulla "crisi del crollo demografico" come il più grande pericolo per la civiltà, e il potente investitore Marc Andreessen, promuovono attivamente l'idea che le persone "giuste" – ovvero quelle intelligenti e di successo come loro – dovrebbero fare più figli per garantire il progresso umano. La fertilità e la procreazione non sono più viste come fatti privati, ma come imperativi per la sopravvivenza e il dominio tecnologico della nostra specie.
Dalla bio-ottimizzazione all'eugenetica 2.0
L'approccio della Silicon Valley all' "ottimizzazione della vita" – dal biohacking al monitoraggio ossessivo dei parametri vitali – si sta estendendo in modo inquietante alla riproduzione. Tecnologie come la fecondazione in vitro, lo screening genetico preimpianto e la maternità surrogata diventano strumenti per "progettare" la prole. Sebbene queste tecnologie offrano speranza a molte persone, nel contesto del pronatalismo tech assumono una sfumatura sinistra. Alcuni critici vedono in questa tendenza l'ombra di una nuova eugenetica, dove la selezione di embrioni con determinati tratti genetici non serve a prevenire malattie, ma a "migliorare" la specie secondo i canoni di successo della Silicon Valley.
Le profonde implicazioni etiche e sociali
Questa mentalità solleva questioni etiche enormi. La maternità surrogata, spinta da queste logiche, rischia di diventare una forma di sfruttamento, dove i corpi delle donne meno abbienti vengono "affittati" dai ricchi per portare a termine un "progetto". Si profila inoltre il rischio di una società divisa su base genetica, dove i privilegiati possono permettersi di "ottimizzare" i propri figli, creando un divario biologico oltre che economico. L'ideologia pronatalista, con la sua enfasi sulla riproduzione di una presunta élite, finisce per svalutare implicitamente chi non può o non vuole avere figli, o chi non rientra nei suoi ristretti parametri.
In conclusione, la vicenda di Cindy Bi è un potente avvertimento. Non è solo la storia di un abuso individuale, ma il sintomo di una cultura che, nella sua hybris tecnologica, crede di poter ottimizzare ogni aspetto dell'esistenza umana, inclusa la sua creazione. La fusione tra immensa ricchezza, potere tecnologico e un'ideologia che flirta con l'eugenetica è un cocktail pericoloso che la società non può permettersi di ignorare.
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