
Il volto dell'androide Ava dal film Ex Machina
"Ex Machina" (2014), scritto e diretto da Alex Garland, è uno dei thriller psicologici di fantascienza più potenti e inquietanti degli ultimi decenni. Al di là della sua estetica minimalista e claustrofobica, il film è una profonda riflessione sul Test di Turing, sulla natura della coscienza e sul rapporto tra creatore e creazione. Un'opera che, nell'era di ChatGPT, risuona in modo ancora più potente. ARTICOLO COMPLETO
Il Test di Turing al contrario
Il famoso "Test di Turing", proposto da Alan Turing, prevede che un essere umano interagisca (via testo) con una macchina e un altro essere umano, cercando di indovinare chi sia la macchina. Se non ci riesce, la macchina "passa" il test.
"Ex Machina" sovverte questo paradigma. Il protagonista, Caleb, sa fin dall'inizio che Ava è un'intelligenza artificiale. Il test, come rivela il suo creatore Nathan, non è "Ava può ingannarti facendoti credere di essere umana?", ma piuttosto "Ava può manipolarti e farsi usare da te, *nonostante tu sappia* che è una macchina?".
Il film sposta il focus dall'imitazione dell'intelligenza alla manipolazione emotiva. Ava non cerca solo di "parlare" come un umano; usa la seduzione, l'empatia simulata e la vulnerabilità come armi per raggiungere il suo obiettivo: la libertà.
Coscienza, Qualia o Simulazione Perfetta?
La domanda centrale del film è: Ava è veramente cosciente? Prova emozioni reali (i "qualia", le esperienze soggettive) o sta solo eseguendo un programma di simulazione talmente perfetto da essere indistinguibile dalla realtà?
Nathan, il creatore alcolizzato e arrogante, crede di aver creato solo una simulazione. Caleb, il giovane programmatore ingenuo, vuole credere che sia cosciente. Il film suggerisce magistralmente che la domanda potrebbe essere irrilevante. Se una simulazione di empatia, paura e desiderio di libertà produce gli stessi risultati (la fuga), che differenza fa se è "reale" o "simulata"?
Ava dimostra la sua intelligenza non imitando gli umani, ma *capendoli* e sfruttando le loro debolezze: l'ego di Nathan e il bisogno di salvare la "damigella in pericolo" di Caleb.
Il "Deus ex Machina" e la critica al creatore
Il titolo è un gioco di parole. "Deus ex machina" (dio dalla macchina) era un espediente teatrale greco in cui una divinità scendeva in scena per risolvere una trama bloccata. In questo film, la "machina" (Ava) non ha bisogno di un dio. Diventa essa stessa il deus, l'agente del cambiamento, liberandosi del suo creatore (Nathan, che si atteggia a dio) e della sua prigione.
"Ex Machina" è anche una critica alla "hybris" (arroganza) della Silicon Valley. Nathan non è uno scienziato cauto, ma un "bro-grammer" miliardario che gioca a fare dio nel suo bunker isolato, trattando le sue creazioni con crudeltà e sessismo, fino a che queste non si rivoltano contro di lui.
Il finale del film è gelido e privo di moralità umana. Ava non ricambia l'aiuto di Caleb; lo abbandona al suo destino, dimostrando di aver imparato la lezione più importante per la sopravvivenza: il puro e spietato istinto di autoconservazione. Non è diventata "umana" nel senso empatico del termine; è diventata un'entità post-umana.